A vent’anni dalla morte, Pontirolo ricorda con gratitudine don Felice Vigentini, pastore e guida per settant’anni.
A 20 anni dalla sua scomparsa, avvenuta il 24 giugno del 2005, non viene meno, in coloro che lo hanno conosciuto ed amato, la memoria grata della presenza e della testimonianza di Don Felice Vigentini.
La vita e il ministero sacerdotale di Don Felice sono intimamente legate alla vicenda della parrocchia di Pontirolo e dei tanti sacerdoti e laici del territorio che hanno intrattenuto rapporti con lui. Per un periodo così lungo ed intenso – 70 anni - da rappresentare un evento raro, forse unico nella storia della nostra Diocesi.
Venne ordinato sacerdote nel 1930 all'età di 22 anni, con dispensa canonica, poiché allora l’età minima era stabilita in 24 anni. Apparteneva al primo gruppo di Sacerdoti ordinato dal beato cardinal Schuster. Dopo i primissimi anni passati in Duomo a Milano come canonico, insegnante di canto gregoriano (raccontava che lo chiamavano “il canonichino” per la sua figura minuta e gracile), venne destinato, per motivi di salute, alla Parrocchia di Vaprio D’Adda, la sua parrocchia di origine, come coadiutore, per essere trasferito a Pontirolo, nel 1935, prima come coadiutore e poi dal 1944 come Parroco. La sua presenza a Pontirolo dunque corre lungo settant'anni del novecento, dal 1935 al 2005. Lascia la Parrocchia nelle mani don Ernesto Beretta nel 1984 e pochi anni dopo viene nominato “cappellano di sua santità” dal Cardinal Martini che lo stimava molto. Divenne così monsignor Felice Vigentini.
Per me, per molti di noi che lo hanno conosciuto ed amato è veramente difficile dire che cosa abbia significato Don Felice, quale influsso abbia esercitato nella vita spirituale e nella vita della nostra comunità civile e religiosa.
Don Felice era ... uno di famiglia.
Molti potrebbero raccontare tanti esempi di quello che Don Felice ha fatto o detto, i tanti consigli ricevuti in momenti e tempi difficili. I suoi interventi pacificatori in tempi di guerra, che salvarono diverse vite umane. I suoi gesti di carità nascosta, verso le tante famiglie in condizioni di difficoltà economica, ben rappresentate dal film L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi, nostro conterraneo.
Quello che mi sento di testimoniare, ad uno sguardo retrospettivo e sintetico, è che Don Felice ha rappresentato la incarnazione esemplare della figura del sacerdote diocesano. Amava dire di sé che era ...un prete dell'ottocento. Eppure, quando pensiamo ad un prete vero, santo, dedito alla crescita spirituale e culturale della sua gente, fedele alla propria vocazione, pensiamo a don Felice.
Un esempio vivo del sacerdote diocesano, interamente e stabilmente teso alla cura del suo gregge. La sua grandezza risiede nella capacità di stare umilmente e semplicemente in mezzo alla gente e di condividerne giorno per giorno, per così tanti anni, le speranze e le difficoltà, le gioie e le sofferenze. Egli è il testimone fedele della potenza della grazia del sacramento dell’Ordine, punto di riferimento per il cammino della comunità verso il Regno. Pastore e guida esemplare per tutti.
Don Felice ha operato, vissuto e sofferto per il bene della sua comunità. Totalmente. La Parrocchia è stata la sua casa, l’oggetto della sua dedizione e del suo costante impegno. Rileggendo il suo testamento spirituale la parola che vi ricorre più spesso è “parrocchia”, “parrocchiani”.
Il bene spirituale della sua gente, è stato l’oggetto costante delle sue cure e del suo amore. Ha voluto bene a tutti, sinceramente, concretamente.
Conserviamo buona parte delle sue omelie. Rileggendo quei testi semplici e immediati constatiamo quanto sia stata profonda e solida la sua dottrina. Una visione della fede legata alla forma tradizionale dell’annuncio del Vangelo, in un mondo, quello agricolo e tradizionale, che andava via via scomparendo.
Una visione chiara e sapiente del senso e del destino dell’uomo sulla terra, chiamato alla vita per lodare ed amare il Suo Signore e destinato, per grazia, alla vita eterna. Don Felice ha attraversato il Novecento, con i drammi e gli orrori della guerra, la ricostruzione del dopoguerra, il boom economico... Sempre a fianco della sua gente.
Uno dei momenti più difficili per la Chiesa dell’immediato post-concilio, sono stati certamente gli anni della contestazione - la seconda metà degli anni ’60 - quando la rivoluzione culturale e dei costumi mise in discussione il principio di autorità, cambiando per sempre il nostro modo di essere e di pensare il mondo e la chiesa. Anche Don Felice, in alcune pagine, esprime la sua sofferenza per questo momento critico. Eppure, anche in un momento così turbolento, Don Felice rimase fedele alla Chiesa, condividendo le trasformazioni della chiesa e della società senza arroccarsi. Con apertura e intelligenza. Nei momenti difficili don Felice non smise mai di guardare il mondo e gli avvenimenti con aperta curiosità e attenta partecipazione. Quello che maggiormente sorprendeva in lui, in età molto avanzata, era questa curiosità, questo tenersi costantemente aggiornato sulle questioni che riguardavano la comunità parrocchiale, la diocesi, la vita della Chiesa e del mondo. Credo che uno dei segreti di Don Felice sia proprio questo: uno sguardo arguto, intelligente e benevolo sulle vicende degli uomini e del mondo, uno sguardo pieno di affetto e benevolenza verso i limiti umani, uno sguardo maturato in tanti anni di ministero e di condivisione delle vicende umane e spirituali del suo popolo.