Il nostro parroco ci racconta la storia della sua vocazione sacerdotale

Ripensando ai venticinque anni trascorsi da sacerdote, non posso che provare un profondo senso di riconoscenza. Penso a tutte le comunità che mi hanno accolto: prima come giovane prete e poi, con il passare del tempo, verso un’età più matura. Quanta pazienza hanno avuto con me, sopportando le mie fragilità e le mie fissazioni! Ma, soprattutto, quanta pazienza ha avuto con me il Signore, che ha sapientemente medicato le mie incapacità con l’olio della sua grazia divina.

Credo di aver donato tanto di me stesso alla mia gente, ma sono profondamente consapevole che molto di più ho ricevuto. Non ho mai scelto la parrocchia in cui andare, affidandomi sempre allo Spirito che soffia nella Chiesa. Fin dall’inizio ho intuito che, per servire il popolo di Dio, il modo migliore era proprio quello di abbandonarmi completamente alla sua volontà. Per questo ho scelto di entrare nella congregazione degli Oblati di Sant’Ambrogio e San Carlo, assumendo il voto permanente e definitivo di obbedienza a Dio, che mi parlava attraverso il mio vescovo.

Sembra impossibile pensare che l’obbedienza possa rendere liberi, eppure è proprio così! A volte, la libertà che cerchiamo si riduce a spazi di gratificazione che, se non appagati, possono renderci frustrati. Invece, l’obbedienza a Dio libera dal peso dell’esito, infonde fiducia nella Grazia e nella Provvidenza e dona una profonda serenità interiore. L’obbedienza non annulla la nostra personalità, anzi, ci permette di perfezionare le qualità che abbiamo e i talenti che Dio ci ha donato fin dalla nascita. È proprio attraverso l’obbedienza a Dio che possiamo diventare pienamente noi stessi.

Ricordo che all’inizio della mia vocazione ero piuttosto resistente: non volevo diventare sacerdote, pur sapendo nel profondo che era ciò che Dio desiderava per me. Pian piano, però, ho ceduto e ho compreso che questa era davvero la strada per il mio bene. Credo che qualcosa di simile accada anche a chi interpreta spiritualmente la vocazione al matrimonio, non come una scelta dettata dalla convenienza o dall’egoismo, ma come un dono profondo di sé per rendere felice la persona amata.

Osservo con preoccupazione la cultura odierna, dove la ricerca di una libertà assoluta – priva di ogni vincolo e condizionamento fisico o sociale – spinge le persone a scegliere continuamente da una tabula rasa. Senza riferimenti chiari, ci si affida solo alle esperienze, trasformandoci in consumatori eternamente insoddisfatti di relazioni, emozioni e opportunità. L’obbedienza, invece, ci insegna ad accettare serenamente i limiti che la vita ci pone, riconoscendo in essi l’opera di Dio, presente e amorevole verso di noi.

Ringrazio di cuore l’infinito amore di Dio per il dono della vocazione e per avermi fatto amare l’obbedienza come un canale privilegiato di comunicazione e grazia. Ringrazio anche tutti voi, che con pazienza e affetto continuate a sostenermi lungo questo cammino.


Con gratitudine,
Don Andrea Bellò, 

felice sacerdote da 25 anni