Oggi è un simbolo di storia, tradizioni e architettura

Andare a raccontare della Basilica Autarena di Fara d’Adda significa ‘vincere facile’, come recita il noto slogan. Questo perché l’edificio è probabilmente il più noto, a livello di storia e cultura locale, del territorio della nostra Comunità pastorale Giovanni XXIII per l’importanza che ha ricoperto in passato e per le sue caratteristiche costruttive, oltre che per l’importanza sul piano religioso e storico. Tuttavia, come molte delle realtà che ‘abbiamo sotto il naso’ magari quotidianamente, può anche capitare proprio a noi che qui viviamo di non conoscere a fondo la storia che lega la Basilica Autarena alla nostra realtà territoriale, non solo a Fara d’Adda. Del resto si tratta di un edificio religioso importante dal punto di vista storico, oltre che particolarmente antico, visto che la sua prima citazione ufficiale – perché sugli atti ufficiali si basa sempre, giustamente, la storia – risale addirittura all’anno 883, quando Carlo il Grosso in un suo diploma – appunto un atto ufficiale – cita la basilica in onore “Sancti Alexandri dedicata in loco nuncupante Fara”. Un edificio religioso che ha dunque attraversato i secoli nel nostro territorio e che ha rappresentato un punto di riferimento per la cultura religiosa di Fara d’Adda. La basilica fu fatta costruire dal re longobardo Autari, che regnò in Italia dal 584 al 590, in un periodo di forti tensioni e frammentazioni causate dalle pressioni dei Franchi e dei Bizantini. Inizialmente Autari fu un attivo seguace della cosiddetta interpretazione del Cristianesimo data da Ario, largamente diffusa tra i popoli nordici e condannata come eretica dalla Chiesa nel Concilio di Nicea del 325 (dal presbitero nativo della Cirenaica, odierna Libia, prese il nome di ‘arianesimo’): secondo l’arianesimo, Dio è “unico, eterno e indivisibile” e dunque Gesù, in quanto ‘generato’, non poteva essere considerato Dio allo stesso modo del Padre. Insomma, una visione nettamente in contrasto con quella del Cristianesimo e della Chiesa che considera invece Gesù e lo Spirito Santo non certo subordinati al Padre, ma sullo stesso piano: un solo Dio, comune a tre persone (Padre, Figlio e Spirito Santo), distinte ma che condividono la stessa ‘sostanza’. In sintesi, il dogma della Trinità. Al di là di questo tema, che non tratteremo ovviamente in questo contesto, va detto che quella di Autari di avvicinarsi all’arianesimo fu in realtà più che altro una mossa che oggi definiremmo politica, proprio per tentare in qualche maniera di tenere il pugno forte di fronte ai Franchi e ai Bizantini. Di Autari ci parla il monaco Paolo Diacono, detto il ‘cronista dei longobardi’. Nella sua ‘Historia Langobardorum’ riferisce di eventi tutt’altro che storici, mettendoci anzi non poca fantasia nell’enfatizzare fatti ed eventi. Oggi diremmo che era uno storico di parte. Emblematica la sua ‘spiegazione’ dell’Impero Longobardo, in una celebre scritta riportata anche su un pannello storico collocato proprio a Fara: “Erat hoc mirabile in regno Langobardorum: nulla erat violentia, nullae struebantur insidiae; nemo aliquem iniuste angariabat, nemo spoliabat; non erant furta, non latrocinia; unusquisque quo libebat securus sine timore” (vale a dire: “C’era questo di meraviglioso nel regno dei Longobardi: non c'erano violenze, non si tramavano insidie; nessuno opprimeva gli altri ingiustamente, nessuno depredava; non c'erano furti, non c'erano rapine; ognuno andava dove voleva, sicuro e senza alcun timore”). Insomma, un ottimo cronista di parte, che di Autari narrò addirittura un evento leggendario: nel capitolo 32 del terzo libro della sua storia dei Longobardi, Paolo Diacono riferisce che a Reggio Calabria Autari toccò con una lancia una colonna immersa nell'acqua a pochi metri dalla riva, segnando in questo modo i confini del regno dei Longobardi, che si sarebbe così esteso a tutta la penisola italiana. Sposatosi con Teodolinda, la coppia ebbe una figlia che si chiamava Gundeperga e che sarebbe poi divenuta regina dal 625 al 652 (anche se talune fonti la indicano come figlia di Agilulfo, successore di Autari alla guida del regno, oltre che colui il quale chiamò nei territori della Geradadda nientemeno che San Colombano chiedendogli di uccidere Tarantasio, il mostro che infestava le allora paludi residuali del lago Gerundo: ma anche questa è, seppure avvincente, un’altra storia). Tra le opere fatte costruire da Autari appunto la Basilica di Fara d’Adda, che nel Medioevo venne poi accorpata al cosiddetto oratorio di Santa Felicita. Oggi della bella chiesa restano soltanto una navata e l’abside centrale poligonale che, con i suoi archi a tutto sesto e le sottili monofore (oggi una murata) visibili dall’esterno, ne è un po’ il simbolo: originariamente le navate erano tre, come si confà a ogni basilica che si rispetti, e le pareti erano costruite in laterizio. 

Fabio Conti